L’anti-intellettualismo si é insinuato come una traccia costante nella nostra vita politica e culturale, alimentato dal falso concetto che democrazia significhi la mia ignoranza vale quanto la tua conoscenza (Isaac Asimov, da “Un culto dell’ignoranza”, Newsweek, 1980).
Nell’era dei reality che rendono pubblici aspetti della vita quotidiana che normalmente ricadono nel privato e di talk show in cui ognuno dice la propria su tutto (da banalità a situazioni complesse), si é insinuata sempre di più come un virus per l’intelligenza umana la pretesa fintamente “democratica” di poter dare un’opinione su ogni cosa (anche su argomenti in cui ci vogliono anni di studio), assimilando il parere dell’uomo o della donna qualunque a quello di un esperto in una data materia, con la stessa faciloneria con cui si spara a zero o si fantastica sulla vita di personaggi più o meno famosi o si sparla del vicino e del conoscente della porta accanto. Naturalmente, ci si trova di fronte a una situazione di pericolo reale, amplificata dalla cassa di risonanza dei social network, in cui il basso opinionismo, le citazioni decontestualizzate e i motti riescono tranquillamente a mettere in minoranza i pareri di studiosi, certamente più complessi e meno semplicistici rispetto alle reazioni di pancia guidate dalla totale assenza di razionalità o conoscenza del cittadino comune, che non di rado offendono la sensibilità e la competenza altrui, in quanto dotate dell’inconscia pretesa che (citando Asimov) la propria ignoranza valga quanto l’altrui conoscenza o probabilmente anche di più, perché può scattare il meccanismo balordo: «se la massa la pensa in un determinato modo vuol dire che é vero», per la serie: «se il gregge di pecore si butta da una rupe, mi ci fiondo pure io». Anche se i latini dicevano più semplicemente: «asinus asinum fricat», tradotto meravigliosamente in siciliano con: «u sceccu si strica cu sceccu» (in italiano: l’asino si strofina a un altro asino). Continua a leggere >>